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Risoluzione contrattuale e recesso – slide operative

L’esperienza dello Studio circa l’esecuzione dei contratti pubblici ha evidenziato l’opportunità di approfondire, con puntualità, l’attuale assetto normativo che governa due tra le fattispecie più rilevanti sul tema: la risoluzione contrattuale ed il recesso.

Ne è scaturito lo strumento operativo che ci si pregia di condividere, predisposto e ragionato nell’ottica di fornire supporto tanto alle Stazioni Appaltanti, quanto agli Operatori Economici.

Risoluzione contrattuale e recesso – slide operative

Decreto Semplificazioni – flusso procedimentale di gara sino alla consegna dei lavori

L’attività di questi mesi, scandita dalla frequente evoluzione della normativa in tema di appalti pubblici, rende necessaria una puntuale ricapitolazione di quale flusso procedimentale – ad oggi – debbano osservare le procedure di affidamento.

Lo Studio ha dunque predisposto un approfondito schema, con particolare attenzione all’affidamento dei lavori, che ne segue lo sviluppo sino al momento della consegna degli stessi.

Flusso procedimentale di gara sino alla consegna dei lavori – Decreto Semplificazioni – slide

Decreto Semplificazioni – novità e principali modifiche in materia di contratti pubblici

Lo Studio, nel corso del 2020 ed in conseguenza della grave emergenza sanitaria in atto, ha affrontato molteplici problematiche che svariati soggetti, operanti nell’ambito della contrattualistica pubblica, si sono trovati – loro malgrado – a dover gestire con particolare urgenza.

Dall’esperienza maturata è scaturito l’elaborato che ci pregiamo di condividere, nell’auspicio che sia strumento utile a coloro i quali, come noi, opera in quest’ambito così profondamente modificato (e, a tratti, innovato) dalla normativa emergenziale.

Decreto Semplificazioni – Slide

Contratti “esclusi” e contratti “estranei” nei settori speciali: qualificazione e regime di assegnazione del CIG

Accade sovente che le stazioni appaltanti operanti nei settori speciali, nell’ambito della loro attività, si trovino a fare i conti con una non sempre agevole individuazione del confine tra contratti c.d. “esclusi” dall’ambito della relativa disciplina e contratti c.d. “estranei”.

Considerate le rilevanti differenze tra le due tipologie, anche in punto di giurisdizione in caso di contenzioso, se ne propone di seguito una definizione, con particolare interessamento all’obbligatorietà (o meno) di richiedere il CIG.

Per contratti c.d. “esclusi” si intendono tutti quei contratti “passivi” (cioè dove si spende denaro pubblico) ed “attivi” (dove invece è l’impresa pubblica a ricavare un utile) ricompresi nel Titolo II (articoli da 4 a 20), parte prima, del D.Lgs. n. 50/2016 e per i quali non si applica la disciplina del Codice degli appalti. Ne discende che, in tali casi, non si applicano le procedure ordinarie (da art. 60 in poi) o semplificate (cioè l’art. 36) di scelta del contraente, ma solamente i “principi generali” indicati all’art. 4 e cioè i “… principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”. In sostanza, sarà necessario indire ad una procedura negoziata per qualsiasi valore sopra o sotto soglia, ma previa pubblicazione di un “avviso” e questo anche per qualsiasi contratto “attivo” (NB: nella relazione governativa è stato specificato che, con la riforma del 2017, sono stati inseriti nel novero di questi ultimi tutti i possibili contratti attivi, al fine di garantire il loro rispetto dei principi comunitari; sino al 2017, infatti, erano disciplinati all’interno della Contabilità di stato del 1923 e 1924).

I contratti che l’impresa pubblica può concludere, pertanto, possono essere così suddivisi:

– contratti “passivi”, specificamente indicati negli artt. da 4 a 20 (ad esempio, all’art. 17: servizi finanziari o mutui);

– qualsiasi tipologia di contratto “attivo”;

– contratti stipulati secondo disposizioni specificamente dettate per i “settori speciali” (ad es.: 11, 12, 13, ecc.).

In tutti questi casi, in ipotesi di contenzioso, la giurisdizione appartiene al TAR.

Inoltre per detti contratti l’ANAC, nelle FAQ relative alla tracciabilità dei flussi finanziari reperibili sul proprio sito istituzionale, alla domanda posta sub B2 (“La normativa sulla tracciabilità si applica ai contratti esclusi in tutto o in parte dal Codice  di cui al Titolo II, parte I, del Codice stesso?”) così ha risposto: “, la normativa sulla tracciabilità dei flussi finanziari si applica anche ai contratti esclusi di cui al Titolo II, Parte I, del Codice dei contratti pubblici riconducibili alla fattispecie dell’appalto”.

Per detta tipologia di contratti, pertanto, sarà obbligatorio richiedere il CIG.

 

I contratti c.d. “estranei”, invece, sono di matrice giurisprudenziale (Cons. Stato, Adunanza Plenaria, n. 16/2011) e, come si legge in detta sentenza, costituiscono una “categoria residuale, che comprende qualsiasi tipo di appalto estraneo al settore speciale. Non si tratta pertanto di appalti semplicemente “esclusi”, ossia rientranti in astratto nell’ambito di applicazione delle direttive ma specificatamente “esentati”, bensì di appalti del tutto “estranei” all’ambito di azione della direttiva 2004/17/CE”. In sostanza, pur rientrando nel “genere” degli “esclusi” hanno caratteristiche speciali “più spinte” degli “esclusi” e sono addirittura trattati come appalti privatistici che non soggiacciono (come avveniva sino al 2011) alla ancor più rigida disciplina dei settori ordinari, bensì al solo rispetto dei principi civilistici del codice civile. In ipotesi di contenzioso, la giurisdizione apparterrà al Tribunale Ordinario.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 50/2016, il legislatore ha recepito quanto precisato dal Cons. Stato, Adunanza Plenaria, n. 16/2011. All’art. 14, comma 1, si è infatti ribadito che, all’interno degli “esclusi”, esiste la sotto-categoria specifica degli “estranei”, qualificati secondo i “fini diversi”: “Le disposizioni del presente codice non si applicano agli appalti e concessioni aggiudicati dagli enti aggiudicatori per scopi diversi dal perseguimento delle attività di cui agli articoli da 115 a 121, o per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno dell’Unione europea, e ai concorsi di progettazione organizzati a tali fini”.

Per quest’ultima tipologia di contratti, quindi, il CIG non andrà richiesto, posto che in tal caso l’appalto non sarà assoggettato alla normativa di cui al D.Lgs. n. 50/2016 (nemmeno, pertanto, all’applicazione dei principi dell’art. 4).

Il regime transitorio previsto dall’art. 216, comma 27-octies, D.Lgs. n. 50/2016 (come modificato dalla L. 55/2019): si va verso l’abbandono del sistema cd. “piramidale” del 2016, delle Linee Guida ANAC e dei Decreti Ministeriali

Con l’entrata in vigore della L. 55/2019, di conversione del D.L. n. 32/2019 (c.d. “Sblocca cantieri”), il Legislatore ha inteso abbandonare l’impostazione cd. “piramidale” – posta a base del sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 50/2016 – in favore di un ritorno al sistema cd. “bipartito” – così come previsto dal precedente D.Lgs. n. 163/2006 –,  cioè fondato, da un lato, su una Legge o un Decreto Legislativo, costituente la normativa fondamentale primaria, e, dall’altro, su un Regolamento Generale, costituente la normativa di carattere secondario e solo eventualmente completato da un Capitolato generale statale.

Se, infatti, il Legislatore del 2016 ha ritenuto opportuno affidare il completamento, nel dettaglio, della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 50/2016 – in adempimento a tre direttive comunitarie del 2014 – a Linee guida elaborate dall’ANAC e a Decreti ministeriali (complessivamente circa una settantina di provvedimenti), il Legislatore del 2019 (mediante il provvedimento cd. “Sblocca cantieri”) ha optato per un ritorno al citato sistema cd. “bipartito”.

Si ritorna quindi ad una semplificazione per gli operatori del settore, in quanto è evidente che il sistema cd. “piramidale” presenta l’enorme difetto di costringerli ad applicare normative diverse (e, trattandosi di circa 70 provvedimenti applicativi, tra l’altro spesso revisionati nel caso delle Linee Guida, ciò determina non pochi problemi) secondo la data di indizione della specifica procedura di gara, come si legge all’interno dell’art. 216, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016.

Anche la L. 55/2019, all’art. 1, comma 21, mutua il medesimo regime transitorio e pertanto, alla luce di quanto sopra, ciascuna procedura di gara – fino alla sua conclusione – e la successiva fase esecutiva dell’appalto saranno disciplinate dal D.Lgs. n. 50/2016 nella “versione” vigente al momento dell’indizione della gara, oltre che dalle Linee Guida e dai D.M. vigenti al momento dell’indizione della gara (Linee guida e D.M. entrano in vigore decorsi 15 giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, cfr. art. 216, ultimo comma, D.Lgs. n. 50/2016). Nessun effetto avranno le eventuali sopravvenute modifiche normative.

Ciò chiarito, appare di non immediata comprensione il regime transitorio previsto dal nuovo comma 27-octies dell’art. 216, D.Lgs. n. 50/2016, aggiunto proprio dalla L. 55/2019 (cfr. art. 1, comma 20, lett. gg), n. 4), che accompagna il predetto cambio di rotta legislativo.

Onde delineare la portata della citata disposizione ed adiuvare l’operatore nella disciplina che si troverà ad applicare caso per caso, si riassumono di seguito le modifiche fondamentali ivi contenute:

  1. entrata in vigore entro 6 mesi (pertanto entro il 15 ottobre 2019 – qualora il termine si intenda decorrente dall’entrata in vigore del D.L. n. 32/2019 – ovvero entro il 15 dicembre 2019 – qualora il termine si intenda decorrente dall’entrata in vigore della L. 55/2019) di un nuovo Regolamento generale, che sostituirà le Linee Guida ANAC ed i D.M. già entrati in vigore (oltre che il precedente D.P.R. 207/2010, tuttora vigente in una parte residuale che interessa la progettazione, la qualificazione delle imprese ed il collaudo) ed anche le Linee guida e D.M. che sarebbero dovuti entrare in vigore, ma che sono stati sostituiti, all’interno del nuovo testo del D.Lgs. n. 50/2016, da riferimenti al nuovo Regolamento Generale;
  2. sino all’entrata in vigore del futuro Regolamento generale, si prevede il mantenimento in vigore di solo otto tra Linee Guida ANAC e D.M. (in materia di “Progettazione interna e esterna alle amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici”, “Ruolo e funzioni del responsabile del procedimento negli appalti e nelle concessioni”, “Contratti sotto soglia”, “Avvalimento”, “Controllo tecnico, contabile e amministrativo”, “Qualificazione” e “Collaudo”), con una differenziazione al loro interno: i provvedimenti già adottati potranno essere oggetto di modifica solamente per renderli compatibili con eventuali procedure di infrazione comunitaria (ad esempio la Linea Guida ANAC n. 4/2016 è stata modificata a luglio 2019 – seppure non ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale e, pertanto, non vigente – nelle sole parti riguardanti la procedura di infrazione) e saranno applicabili nei limiti di compatibilità con l’attuale ultima versione del D.Lgs. 50/2016; i provvedimenti ancora da adottare, di fatto, mantengono salvo il potere di ANAC e Ministeri interessati, sino all’entrata in vigore del Regolamento generale, il potere di emanarli. Certamente è curioso aver previsto questa possibilità di emanare queste Linee Guida o D.M. in materie che, in parallelo, poi confluiranno nel Regolamento generale (ad esempio, la progettazione ed il collaudo), con una duplicazione di attività, nel mentre parrebbe che, per il futuro, oltre al Regolamento generale, potrebbero “sopravvivere” alcune Linee guida o D.M. (ad esempio in materia di avvalimento);
  3. venir meno dell’efficacia, se non quali indirizzi interpretativi, delle Linee Guida ANAC e dei D.M. espressamente previsti nel D.Lgs. n. 50/2016 ma non fatti salvi dal citato art. 216, comma 27 octies (si è infatti dell’avviso che, sino all’entrata in vigore del nuovo Regolamento Generale, sia possibile continuare a richiamare queste Linee guida e D.M., onde evitare un vuoto normativo);
  4. venir meno dell’efficacia, se non quali indirizzi interpretativi, delle Linee Guida ANAC non espressamente previste dal Codice ed emanate in autonomia dall’ANAC stessa, anche in questo caso per non trovarsi di fronte a un vuoto normativo e solamente per le parti compatibili con il nuovo testo del D.Lgs. n. 50/2016 (a titolo esemplificativo: art. 63, comma 1, art. 95, comma 6, sull’o.e.p.v., art. 157 sui servizi di ingegneria ed architettura);
  5. con la sola eccezione delle Linee guida e D.M. sopra indicati (cioè quelli fra gli otto superstiti) e che non siano ancora stati adottati (ad esempio in materia di collaudo o qualificazione delle imprese), è venuta meno la possibilità di adottare nuove Linee Guida e D.M. a far data dal 19 giugno 2019 e anche di adottare modifiche alle Linee guida già adottate ma non richiamate espressamente dal D.Lgs. n. 50/2016 (l’ultima Linea Guida ANAC approvata risale al 5 giugno 2019 ed è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il successivo 5 agosto 2019, con conseguente entrata in vigore al 20 agosto 2019).

 

Risulta peraltro fondamentale tenere conto di un dato ulteriore che conferma l’abbandono del sistema cd. “piramidale” adottato dal Governo nell’anno 2016: in data 22 marzo 2019 è stato approvato un “D.D.L. deleghe” contenente la previsione di una completa riforma di settore, che segue la direzione intrapresa dal Decreto c.d. “Sblocca cantieri”.

Nel citato disegno di legge si puntualizza che, una volta approvata la legge delega da parte del Parlamento, il Governo dovrà approvare:

  • entro 1 anno dall’entrata in vigore della legge delega, un nuovo D.Lgs. sostitutivo del D.Lgs. n. 50/2016;
  • entro un ulteriore anno, un eventuale D.Lgs. correttivo;
  • entro 2 anni dall’entrata in vigore della legge delega, un nuovo Regolamento generale.

 

Ne discende che il Regolamento generale di cui all’art. 216, comma 27-octies, D.Lgs. n. 50/2016 sarà destinato – ove mai approvato, posto che entrambi i termini sopra richiamati per la sua emanazione (15 ottobre e 15 dicembre) sono entrambi spirati –, ad avere vigenza assai breve, dovendo essere sostituito da quello “definitivo” entro due anni dall’entrata in vigore della nuova Legge delega, che darà vita ad un nuovo D.Lgs. sostitutivo del D.Lgs. n. 50/2016.

Questo è il panorama che ci attende a meno che il nuovo Governo nel frattempo insediatosi non ritenga di tornare al sistema cd. “piramidale” oppure di propendere per un eventuale sistema intermedio.

In ogni caso ci si auspica che, qualunque sistema venga adottato, sia il più semplice ed operativo possibile ma, soprattutto, che abbia una durata minima, in quanto gli operatori del settore non sono più in grado di tollerare mutamenti legislativi così continui e repentini.

Infine pare evidente come il sistema cd. “piramidale” possa adattarsi meglio in un’organizzazione che preveda poche (e grandi) stazioni appaltanti, mentre il sistema cd. “bipartito” certamente meglio si adatta alla frammentarietà che tuttora contraddistingue il nostro sistema di contratti pubblici e la molteplicità delle stazioni appaltanti.

Il “rinnovo” del contratto di forniture e servizi esiste ancora dopo il D.Lgs. 50/2016 oppure è un “rinnovo” da leggersi come mera “proroga” contrattuale, senza possibilità di intervenire sul contenuto del contratto?

In tutto il nuovo Codice dei Contratti il “rinnovo” (che prevede la possibilità, senza la necessità di stipulare un nuovo contratto, di intervenire non solo sul “tempo” dell’originario contratto ma anche sui suoi specifici contenuti e principalmente sul prezzo, a patto che la relativa clausola sia espressamente prevista nel contratto originario) viene citato unicamente in specifiche disposizioni indirizzate al calcolo del valore stimato dell’appalto e quindi nell’art. 35, comma 4, D.Lgs. 50/2016 (non ripetendo poi tale disposizione nell’art. 167 che disciplina il valore stimato delle concessioni) e nell’allegato XIV, Sez. B, n. 5 che disciplina le informazioni da inserire negli avvisi e bandi. E’ anche sparito quel riferimento a suo tempo contenuto nella procedura negoziata all’art. 57, ult. c., D.Lgs. 163/2006, in quanto l’attuale art. 63 non cita più l’ipotesi del divieto del “rinnovo tacito”, non potendosi quindi più ritenere implicitamente ammesso quello “espresso” e cioè originariamente previsto nel regolamento di gara.

Ciò appare in linea con quanto si legge nel parere del Consiglio di Stato (n. 855/2016) a seguito della ricezione della bozza governativa del nuovo Codice dei Contratti, nel quale si invitata il Governo a stralciare la previsione del “rinnovo” allora espressamente contenuta all’interno dell’art. 106, comma 12 (prevedendosi la possibilità di intervenire anche a modifica del prezzo, oltre che della durata) in quanto “…non è coerente con le direttive. In base al diritto europeo il rinnovo del contrato è consentito solo se rimane immodificato il suo contenuto (e ciò perché sin ab origine, cioè sin dalla indizione della gara originaria, gli operatori economici devono essere in grado di valutare la convenienza della partecipazione e delle previsioni contrattuali) In altri termini, se vi è modifica del contenuto del contratto vi è un nuovo contratto: e ciò comporta la necessità di una specifica gara. Non si può dunque prevedere che sia modificato il contratto ‘rinnovato’: vanno conseguentemente soppressi tutti i richiami alla possibilità di modificare il contenuto del contratto rinnovato…”.

Ne consegue che il richiamo contenuto nell’attuale art. 35 e nell’allegato XIV sopra citati deve esser “letto” in termini diversi rispetto al passato, in linea con quanto è stato espresso dall’ANAC nel suo capitolato tipo sui servizi e forniture sopra soglia comunitaria, e cioè nel senso del dover rimanere in ogni caso invariato il contenuto del contratto in ogni ipotesi di “rinnovo”, che deve appunto avvenire “alle medesime condizioni”. Sempre l’ANAC, in due recenti pareri, ha confermato tale impostazione che, quindi, va profondamente ad incidere anche sulla giurisprudenza in materia di “rinnovo”, che, negli ultimi anni, dopo un periodo di oscillazioni giurisprudenziali, lo ammetteva pacificamente (sempre nel regime del D.lgs. 163/2006).

Né qualsiasi possibilità di “rinnovo” potrebbe desumersi, a questo punto, dal comma 1, lett. a) dell’art. 106, D.lgs. 50/2016: una clausola chiara, precisa ed inequivocabile non potrebbe in ogni caso rendere aleatoria l’offerta, magari ancorandosi al realizzarsi di situazioni di mercato e/o prezzi prefigurate in sede di gara, ma ancorate appunto all’aleatorietà, e, dovrebbe restare nell’alveo di una mera “proroga” contrattuale.

A questo punto pare evidente che vi sono due possibilità.

Si può ritenere comunque esistente il “rinnovo”, ma a condizioni diverse da quelle previste nel D.Lgs. 163/2006 (l’appalto non può avere contenuto diverso da quello originario; la durata non può essere maggiore del contratto originario, per consentire al partecipante alla gara di formulare un’offerta adeguata; in fase di gara il valore complessivo dell’appalto deve tenere conto del rinnovo, anche ai fini delle garanzie), di fatto consistendo in una “proroga” contrattuale” e ritenendo che rientrino in questo genus anche ipotesi che vengono diversamente denominate, quali la “ripetizione” di lavori e servizi analoghi di cui al comma 5° dell’art. 63, D.Lgs. 50/2016 (anche se, in tal caso, si procede alla stipula di un nuovo e diverso contratto, a procedura negoziata e non vi è un prolungamento dell’originario contratto).

Ma si può ritenere, invece, che il “rinnovo”, ormai, non sia più esistente nel nostro ordinamento e sia preferibile parlare di “proroga” contrattuale (anche per evitare commistioni con la passata nozione di “rinnovo”) e distinguere forme diverse dal “rinnovo” o dalla “proroga” che dir si voglia, quali la sopra citata “ripetizione”, che altro non è che un’ipotesi specifica di procedura negoziata.

Tra le due tesi – anche per migliore chiarezza e per evitare errori al momento della predisposizione del regolamento di gara – appare preferibile la seconda, in quanto non ha ormai molto senso mantenere, nel nostro ordinamento, una nozione di “rinnovo” che non differisce in nulla dalla “proroga contrattuale” o “opzione” (così la definisce l’art. 35, comma 4) o “opzione di proroga” (così la definisce l’art. 106, comma 11). Tra l’altro, l’attuale “rinnovo” deve essere accettato dall’appaltatore e quindi non potrebbe essere rifiutato, trattandosi di diritto potestativo della stazione appaltante: infatti, in caso di rifiuto, ciò attesterebbe la presenza di una trattativa per ciò solo e quindi si rientrerebbe nella “vecchia” ipotesi di “rinnovo” allorchè si “trattava” il contenuto del contratto da prorogare, con la possibilità quindi di rifiuto da parte dell’appaltatore che non gradisse le diverse nuove condizioni.

Poiché, però, proprio l’ANAC, da ultimo nel suo bando-tipo, continua a riferirsi al “rinnovo”, se si vuole mantenere questa nomenclatura, appare preferibile, per evitare fraintendimenti, parlare di “rinnovo-proroga” contrattuale, cioè agli stessi prezzi, patti e condizioni originari. Infatti, tra l’altro, il comma 11 dell’art. 106, D.Lgs. 50/2016 – nel prendere in esame la “proroga” in maniera non certo chiara e lineare e sovrapponendo la “proroga contrattuale” alla ben diversa “proroga tecnica” – si riferisce chiaramente alla necessità di tenere conto dei “prezzi più vantaggiosi”, per la sola stazione appaltante, che dovesse fornire il mercato alla sola ipotesi di “proroga tecnica”. Anche da ciò si ha la comprova che, ormai, “proroga” contrattuale” e “rinnovo” appartengono alla stessa species e, semmai, solamente la “proroga tecnica” ha una sua particolare connotazione, in quanto consente un maggiore apprezzamento rispetto a prezzi eventualmente più vantaggiosi per la p.a., ma, si ritiene, fermo restando il diritto potestativo della stazione appaltante di pretenderla laddove prevista nel regolamento di gara.

Avv. Gianni Zgagliardich

L’inefficacia dei contratti “in house” nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato

  1. Premessa sull’inefficacia del contratto

Gli articoli 121 e 122 del C.P.A. disciplinano i casi in cui il Giudice Amministrativo può disporre l’inefficacia del contratto che ha fatto seguito ad una aggiudicazione di cui all’art. 32, D.Lgs. 50/2016 e s.m.i. (già aggiudicazione definitiva di cui all’art. 11, D.Lgs. 163/2006 e s.m.i.) che sia viziata da illegittimità. Ciò avviene, rispettivamente, nell’ipotesi di “gravi violazioni” (cioè quelle tipizzate nelle quali, previo riscontro degli analitici presupposti indicati nella norma citata, non vi è un potere di valutazione) e di “altri casi” (cioè di attribuzione generalizzata del potere di valutazione da parte del Giudice Amministrativo).

Se si legge la recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 7295 dd. 22.3.2017, la quale fa riferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011, si trova conferma del fatto che, in particolare, l’art. 122, C.P.A. disciplina l’inefficacia del contratto in tutti i casi in cui venga annullata un’aggiudicazione (già aggiudicazione definitiva) in casi diversi da quelli tipizzati nell’art. 121, attribuendo al Giudice il potere di stabilire se dichiarare tale inefficacia sulla base di una serie di criteri e con un solo limite ossia che il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara (oltre che la domanda di subentrare sia stata proposta).

In sostanza con la richiamata disposizione il Legislatore ha inteso “estendere” il potere del Giudice Amministrativo anche rispetto alle questioni inerenti al destino del contratto stipulato in esito ad una procedura di affidamento illegittima in quanto la relativa valutazione richiede una necessaria ed indispensabile conoscenza specifica dei procedimenti che hanno portato al relativo affidamento.

La linea di demarcazione tra la giurisdizione amministrativa, anche rispetto al potere di incidere sull’efficacia del contratto, e quella ordinaria nei termini di cui sopra appare agevolmente desumibile con riferimento alle procedure di affidamento che risultano oggi disciplinate espressamente dal D.Lgs. 50/2016 (fermo restando che i richiami contenuti in particolare all’art. 121 C.P.A. rimandano all’ora abrogato D.Lgs. 163/2006) tuttavia, non mancano alcune sentenze che rendono tale “linea” meno nitida. Ad esempio, fra tali pronunce, vi sono quelle nelle quali al vaglio del Giudice Amministrativo vengono esaminati gli affidamenti “in house” di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (peraltro oggi espressamente disciplinati all’interno del D.Lgs. 50/2016, ma non trattati allo stesso modo nel precedente D.Lgs. 163/2006) oppure procedure di gara regolate dalla Contabilità di Stato (R.D. n. 2240/1923 e 827/1924) o anche da normative di settore.

 

  1. L’inefficacia del contratto nell’“in house” nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Quanto agli affidamenti “in house” (attualmente disciplinati all’interno del D.Lgs. 50/2016, agli artt. 5 e 192 che hanno recepito sia i principi elaborati negli anni da parte della giurisprudenza comunitaria relativa agli affidamenti diretti oltre che quelli contenuti nelle Direttive Comunitarie), il panorama giurisprudenziale parrebbe non offrire direzioni univoche da seguire.

Il primo arresto giurisprudenziale meritevole di attenzione è quello della Sezione V del Consiglio di Stato che, in data 25.5.2017, con la sentenza n. 2462/2017 ha precisato che “…relativamente alla giurisdizione sulla domanda di caducazione della convenzione di affidamento del servizio in house declinata dal giudice di prime cure. Il Collegio ritiene di condividere la valutazione della gravata sentenza, atteso che l’in house providing non costituisce affatto un affidamento di un contratto ad un terzo esterno, ma consiste in un affidamento per così dire interno, con il quale l’Amministrazione provvede in proprio allo svolgimento di determinate prestazioni, anziché esternalizzarle…”; ciò perché, secondo il Supremo Consesso, l’art. 131, comma 1, lett. e), punto 1, C.P.A. si riferirebbe solamente agli “…affidamenti c.d. esterni, connessi all’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, e non a tutti gli atti contrattuali rispetto ai quali difetta il potere del giudice amministrativo di caducarne gli effetti a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione o della ravvisata illegittimità dell’affidamento diretto a favore di un soggetto esterno dell’Amministrazione…”.

Dalla pronuncia appena riportata (peraltro riferibile, lo si ribadisce, ad un contesto disciplinato dal D.Lgs. 163/2006) sembrerebbe ricavarsi il principio secondo cui gli affidamenti dei servizi “in house” sarebbero da considerare “estranei” rispetto alle procedure di affidamento prese in esame dal D.Lgs. 50/2016 ed oggetto dell’art. 122, C.P.A. poiché “interni” e non rivolti all’esterno. Ciò in considerazione della particolare natura soggettiva del destinatario dei medesimi affidamenti, che non sarebbe un soggetto “terzo esterno” ma un soggetto “interno” ed attraverso il quale l’Amministrazione provvede “in proprio” e senza effettiva esternalizzazione.

Ne conseguirebbe l’impossibilità per il Giudice Amministrativo, in quanto carente di giurisdizione, di pronunciarsi relativamente al contratto stipulato, benché successivo ad un affidamento dichiarato illegittimo, e di applicare a tali fattispecie il rito accelerato degli appalti di cui all’art. 120, C.P.A.. Con la conseguenza di obbligare il ricorrente ad accedere al “doppio binario” delle due giurisdizioni per la medesima vicenda.

Fermi restando i limiti della sopra indicata decisione discendenti dall’applicabilità, nel caso specifico, del D.Lgs. 163/2006 e non del regime speciale degli affidamenti “in house” di cui agli artt. 5 e 192, D.Lgs. 50/2016, in ogni caso la stessa risulta contraddetta – sempre in un’ipotesi in cui trovava applicazione il previgente Codice degli Appalti –, solo cinque giorni dopo (29.5.2017), da una sentenza della medesima Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 2533/2017) dove si legge che “…deve ritenersi che anche sul piano dell’interpretazione logica (avuto cioè riguardo all’‘intenzione del legislatore’) gli affidamenti in house siano soggetti al rito ‘appalti’. Depone in questo senso la comunanza ai contratti così stipulati delle esigenze sottese a questo speciale procedimento giurisdizionale, e cioè la spiccata celerità e la pienezza di tutela assicurata dai provvedimenti adottabili ai sensi degli artt. 120 – 124 del codice del processo amministrativo. Tra questi vi è in particolare la possibilità per il giudice di dichiarare l’inefficacia del contratto stipulato sulla base del provvedimento autoritativo di affidamento e dunque di incidere sul rapporto negoziale già instaurato ‘a valle’ di quest’ultimo. Da questa ampiezza di poteri e dalle conseguenti ricadute su assetti contrattuali già instauratisi si coglie pertanto la necessità sul piano logico e di complessiva coerenza normativa di assoggettare anche gli affidamenti in house al rito concernente in generale i contratti di lavori, servizi e forniture. In caso contrario, rimarrebbero immuni dal rischio di declaratoria giurisdizionale di inefficacia proprio gli affidamenti connotati maxime dalla violazione del principio generale, di matrice anche europea, dell’evidenza pubblica…”.

Quest’ultima decisione – che supera una distinzione fra affidamenti “interni” ed “esterni” e si orienta in senso più garantista rispetto all’intera “evidenza pubblica” – appare più adeguata per tutelare qualsiasi operatore rispetto ad assetti contrattuali già instauratisi che, paradossalmente, nei contratti “in house” sono anche di più lunga durata ed anche maggiormente soggetti a delicate interferenze con gli interessi pubblici e ciò anche a prescindere da qualsiasi inquadramento degli affidamenti “in house” nell’ambito del “vecchio” o del “nuovo” Codice dei Contratti Pubblici (oltre che nelle specifiche normative di settore).

Si è infatti del fondato avviso che un contratto che si ponga a valle di un affidamento in esito ad una procedura ad evidenza pubblica (e si noti che potrebbe essere anche un contratto “attivo” già disciplinato dalla Contabilità di Stato ed oggi invece preso in esame dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. 50/2016 oppure un altro contratto “escluso” oppure ancora un contratto dei “settori speciali” “non strumentale” a quei fini e rispetto al quale non dovesse avere giurisdizione il Giudice Ordinario) oppure anche un contratto stipulato senza indizione di una procedura di affidamento o comunque di una procedura selettiva secondo le previsioni dell’evidenza pubblica dovrebbe essere oggetto di esame da parte del Giudice Amministrativo, in quanto solo quest’ultimo è in grado di apprezzare le interrelazioni (ivi compresi anche i dati fattuali) fra i diversi interessi pubblici e privati, come anche desunti da una conoscenza avvenuta nel corso del processo sia direttamente che attraverso gli atti processuali: circostanze queste che verrebbero difficilmente a conoscenza di un Giudice che non abbia preso in esame ed approfondito il procedimento a monte e tutte le implicazioni dello stesso. Si tratta infatti di un Giudice che – si potrebbe dire “naturalmente” – appare deputato a trattare i diritti soggettivi propri della fase esecutiva dell’appalto ma che certamente non ha una conoscenza nemmeno lata dei profili correlati agli interessi legittimi propri della fase di gara, rispetto ai quali il contratto si trova in una via “mediana”.

Si tratta, insomma, di una fase della medesima vicenda di affidamento che rientra concettualmente in quel “vuoto di tutela” cui fa rinvio la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 204/2004 e che caratterizza la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

 

  1. La necessità di un intervento tempestivo del Giudice.

Da ultimo va rimarcato anche un profilo – non certo secondario e, anzi, forse determinante nell’ottica di una effettiva tutela – correlato alla tempestività di intervento del Giudice, in quanto quello Amministrativo interverrebbe immediatamente anche in un rapporto “in house” oppure in qualsiasi ipotesi di procedure ad “evidenza pubblica” che confluiscano in un affidamento, mentre quello Ordinario interverrebbe sempre dopo un lungo lasso di tempo nel corso del quale, pur a fronte dell’accertamento di una illegittimità (e poca rilevanza avendo la tipologia di affidamento, “interna” o “esterna”), si perpetuerebbe un affidamento ad un soggetto non più legittimato, il che potrebbe avvenire anche per anni.

In sostanza, si ritiene debba essere svolta un’attenta ponderazione rispetto alle difficoltà di operare, nel giudizio ordinario, con strumenti che consentano una tutela celere ed effettiva e si è dell’avviso che nemmeno procedimenti di urgenza ex art. 700 e ss., c.p.c. siano idonei. Laddove si dovesse attendere l’intero giudizio di primo grado – e verosimilmente almeno l’avvio di quello di secondo grado in cui potrebbe essere strumentalmente chiesta la sospensione della sentenza di primo grado – per ottenere una dichiarazione di inefficacia del contratto, oltre al dato negativo discendente dallo scollegamento con il procedimento a monte dello stesso si avrebbe un lasso temporale inammissibilmente molto lungo ed in molti casi inaccettabile in certi delicati rapporti in house.

Anche questi profili sembrano rendere preferibile un indirizzo indirizzato nel senso di non operare distinzioni fra diverse modalità di affidamento: si genererebbe, tra l’altro, una pericolosa disparità di tutela e forse si inciderebbe anche in termini di violazione del principio di uguaglianza soprattutto in casi come l’“in house” in cui talvolta l’esigenza di intervenire immediatamente su un rapporto viziato è ancora più impellente per tutelare gli interessi pubblici e non solo quelli privati.

 

 

ENNESIMA CONFERMA PER LA VIGENZA DEI “CONTRATTI ESTRANEI” DEI SETTORI SPECIALI ANCHE DOPO IL D.LGS. 50/2016

Dal TAR Toscana (sentenza n. 508 dd. 14.3.2018) giunge l’ennesima conferma, per una procedura bandita con il D.Lgs. 50/2016 dopo l’adozione del Decreto Correttivo, della perdurante esistenza dei “contratti estranei” dei “settori speciali” per le “imprese pubbliche” operanti in detti settori. Nel caso di specie si trattava di una procedura avente ad oggetto l’individuazione di un’agenzia grafica/di comunicazione che doveva presentare un progetto di creatività che identificasse un’azienda.

Ancora una volta, anche dopo l’entrata in vigore del predetto D.Lgs. 50/2016, è stato quindi ribadito l’indirizzo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16/2011 secondo il quale le disposizioni dei “settori speciali”, per dette “imprese pubbliche” (e quindi resta il presupposto di base dell’essere inquadrabile quale “soggetto aggiudicatore in tale contesto e non in quello dell’”organismo di diritto pubblico” o in un contesto ancora diverso), si applicano unicamente ai contratti stipulati per fini direttamente strumentali a detti settori e, laddove si perseguano fini diversi da quelli strumentali, non si applicano, come in passato (e cioè anteriormente alla citata Adunanza Plenaria), le norme sui “settori ordinari” bensì le regole civilistiche e del diritto privato, con la contestuale giurisdizione del Giudice Ordinario (e, nel caso di specie, il TAR ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione).

Ne discende che l’assoggettabilità della disciplina dei “settori speciali” si desume sia da un criterio soggettivo (deve trattarsi di un soggetto operante nei citati “settori speciali”) che oggettivo (il lavoro, fornitura, servizio deve essere direttamente riferibile e strumentale ai predetti “settori speciali” – in un rapporto diretto “da mezzo a fine” – a detti settori: ad esempio, tutta l’attività correlata alla gestione delle reti o comunque agli interventi diretti alla tipicità impiantistica dell’acqua, gas, elettricità, ecc. e non ad attività quali la vigilanza o la pulizia della propria sede istituzionale, le consulenze acquisite per scopi diversi a tali fini, ecc.).

L’aggancio normativo era rinvenibile nell’art. 207, D.Lgs. 163/2006 e, attualmente, nella vigenza del D.Lgs. 50/2016, è stato traslato nell’art. 14, comma 1, D.Lgs. 50/2016 anche se vi è una minima differenza rispetto al passato: nel predetto art. 14, al comma 2, infatti, si prevede un eventuale obbligo di comunicazione alla Commissione europea, ma solo su richiesta e nei termini da essa indicati, delle categorie di attività “estranee” (cioè quelle che il Codice chiama per “scopi diversi”).

In conclusione si ha quindi piena e definitiva conferma che una vasta platea di attività dei “settori speciali” – una volta inquadrata la committenza fra le “imprese pubbliche” (sulla base di un’analisi dello statuto ed atto costitutivo e soprattutto fondandosi sull’effettiva scelta di operare in un mercato concorrenziale connotato da rischio di mercato e d’impresa e ciò anche a prescindere da una partecipazione che potrebbe anche essere completamente pubblica: cfr. recentemente C. Stato n. 5930/2017) – può essere sottratta alle procedure di affidamento del D.Lgs. 50/2016 ed alla giurisdizione del TAR/Consiglio di Stato ed approdare al Giudice Ordinario in caso di controversie sia nella fase di affidamento che di esecuzione del contratto. Ciò significa che sarà semmai riferibile a mera opportunità l’eventuale adozione di regole di trasparenza anche in tali affidamenti, senza che però l’adozione di tali eventuali regole significhi un “trasporto automatico” nelle regole del D.Lgs. 50/2016 oppure mutare la giurisdizione: è chiaro infatti che società magari completamente pubbliche potranno eventualmente mutuare regole pubblicistiche, anche secondo propri regolamenti interni, mentre altre società potranno ritenersi completamente libere fermo restando l’obbligo della congruità dei prezzi e dei costi, esattamente come qualsiasi operatore del libero mercato. In sostanza, un minimo di prudenza dovuto alla qualifica soggettiva del soggetto pur sempre pubblico può essere ben comprensibile ed opportuna.

Piano triennale per la prevenzione della corruzione

In un Comunicato del  Presidente indicazioni sull’obbligo di adozione del Piano con validità 2018-2020

Con il precedente comunicato del  13 luglio 2015, l’Autorità ricordava a tutte le Amministrazioni la necessità di adottare,  dopo il primo PTPC, degli aggiornamenti annuali nei due successivi anni di  validità del Piano triennale.

In sede di vigilanza sui piani  l’Autorità ha potuto verificare che, in sede di aggiornamento, molte  amministrazioni, invece di realizzare una completa attuazione delle misure di  prevenzione hanno proceduto con numerosi rinvii e/o soppressioni ed integrazioni di  paragrafi, con conseguenti difficoltà di coordinamento tra le disposizioni e di  comprensione del testo.

A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 97/2016, l’ANAC ha ricordato che il PTPC  deve essere integrato con il Programma per la trasparenza: la necessaria  integrazione degli obiettivi di trasparenza con il piano della  performance necessita di una loro previsione annuale nell’ambito della  programmazione su base triennale.

L’ANAC conclude richiamando l’attenzione delle Amministrazioni sull’obbligatorietà dell’adozione, ciascun  anno, alla scadenza prevista dalla legge del 31 gennaio, di un nuovo completo Piano Triennale, valido  per il successivo triennio (ad esempio, per l’anno in corso, il PTPC  2018-2020).

È, altresì, necessario che ad ogni Piano siano allegate le  mappature dei processi.

Il comunicato del 16.03.2018 sostituisce quello del 13.7.2015.

Leggi il comunicato (clicca qui)