Gli articoli 121 e 122 del C.P.A. disciplinano i casi in cui il Giudice Amministrativo può disporre l’inefficacia del contratto che ha fatto seguito ad una aggiudicazione di cui all’art. 32, D.Lgs. 50/2016 e s.m.i. (già aggiudicazione definitiva di cui all’art. 11, D.Lgs. 163/2006 e s.m.i.) che sia viziata da illegittimità. Ciò avviene, rispettivamente, nell’ipotesi di “gravi violazioni” (cioè quelle tipizzate nelle quali, previo riscontro degli analitici presupposti indicati nella norma citata, non vi è un potere di valutazione) e di “altri casi” (cioè di attribuzione generalizzata del potere di valutazione da parte del Giudice Amministrativo).
Se si legge la recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 7295 dd. 22.3.2017, la quale fa riferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13/2011, si trova conferma del fatto che, in particolare, l’art. 122, C.P.A. disciplina l’inefficacia del contratto in tutti i casi in cui venga annullata un’aggiudicazione (già aggiudicazione definitiva) in casi diversi da quelli tipizzati nell’art. 121, attribuendo al Giudice il potere di stabilire se dichiarare tale inefficacia sulla base di una serie di criteri e con un solo limite ossia che il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara (oltre che la domanda di subentrare sia stata proposta).
In sostanza con la richiamata disposizione il Legislatore ha inteso “estendere” il potere del Giudice Amministrativo anche rispetto alle questioni inerenti al destino del contratto stipulato in esito ad una procedura di affidamento illegittima in quanto la relativa valutazione richiede una necessaria ed indispensabile conoscenza specifica dei procedimenti che hanno portato al relativo affidamento.
La linea di demarcazione tra la giurisdizione amministrativa, anche rispetto al potere di incidere sull’efficacia del contratto, e quella ordinaria nei termini di cui sopra appare agevolmente desumibile con riferimento alle procedure di affidamento che risultano oggi disciplinate espressamente dal D.Lgs. 50/2016 (fermo restando che i richiami contenuti in particolare all’art. 121 C.P.A. rimandano all’ora abrogato D.Lgs. 163/2006) tuttavia, non mancano alcune sentenze che rendono tale “linea” meno nitida. Ad esempio, fra tali pronunce, vi sono quelle nelle quali al vaglio del Giudice Amministrativo vengono esaminati gli affidamenti “in house” di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (peraltro oggi espressamente disciplinati all’interno del D.Lgs. 50/2016, ma non trattati allo stesso modo nel precedente D.Lgs. 163/2006) oppure procedure di gara regolate dalla Contabilità di Stato (R.D. n. 2240/1923 e 827/1924) o anche da normative di settore.
Quanto agli affidamenti “in house” (attualmente disciplinati all’interno del D.Lgs. 50/2016, agli artt. 5 e 192 che hanno recepito sia i principi elaborati negli anni da parte della giurisprudenza comunitaria relativa agli affidamenti diretti oltre che quelli contenuti nelle Direttive Comunitarie), il panorama giurisprudenziale parrebbe non offrire direzioni univoche da seguire.
Il primo arresto giurisprudenziale meritevole di attenzione è quello della Sezione V del Consiglio di Stato che, in data 25.5.2017, con la sentenza n. 2462/2017 ha precisato che “…relativamente alla giurisdizione sulla domanda di caducazione della convenzione di affidamento del servizio in house declinata dal giudice di prime cure. Il Collegio ritiene di condividere la valutazione della gravata sentenza, atteso che l’in house providing non costituisce affatto un affidamento di un contratto ad un terzo esterno, ma consiste in un affidamento per così dire interno, con il quale l’Amministrazione provvede in proprio allo svolgimento di determinate prestazioni, anziché esternalizzarle…”; ciò perché, secondo il Supremo Consesso, l’art. 131, comma 1, lett. e), punto 1, C.P.A. si riferirebbe solamente agli “…affidamenti c.d. esterni, connessi all’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, e non a tutti gli atti contrattuali rispetto ai quali difetta il potere del giudice amministrativo di caducarne gli effetti a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione o della ravvisata illegittimità dell’affidamento diretto a favore di un soggetto esterno dell’Amministrazione…”.
Dalla pronuncia appena riportata (peraltro riferibile, lo si ribadisce, ad un contesto disciplinato dal D.Lgs. 163/2006) sembrerebbe ricavarsi il principio secondo cui gli affidamenti dei servizi “in house” sarebbero da considerare “estranei” rispetto alle procedure di affidamento prese in esame dal D.Lgs. 50/2016 ed oggetto dell’art. 122, C.P.A. poiché “interni” e non rivolti all’esterno. Ciò in considerazione della particolare natura soggettiva del destinatario dei medesimi affidamenti, che non sarebbe un soggetto “terzo esterno” ma un soggetto “interno” ed attraverso il quale l’Amministrazione provvede “in proprio” e senza effettiva esternalizzazione.
Ne conseguirebbe l’impossibilità per il Giudice Amministrativo, in quanto carente di giurisdizione, di pronunciarsi relativamente al contratto stipulato, benché successivo ad un affidamento dichiarato illegittimo, e di applicare a tali fattispecie il rito accelerato degli appalti di cui all’art. 120, C.P.A.. Con la conseguenza di obbligare il ricorrente ad accedere al “doppio binario” delle due giurisdizioni per la medesima vicenda.
Fermi restando i limiti della sopra indicata decisione discendenti dall’applicabilità, nel caso specifico, del D.Lgs. 163/2006 e non del regime speciale degli affidamenti “in house” di cui agli artt. 5 e 192, D.Lgs. 50/2016, in ogni caso la stessa risulta contraddetta – sempre in un’ipotesi in cui trovava applicazione il previgente Codice degli Appalti –, solo cinque giorni dopo (29.5.2017), da una sentenza della medesima Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 2533/2017) dove si legge che “…deve ritenersi che anche sul piano dell’interpretazione logica (avuto cioè riguardo all’‘intenzione del legislatore’) gli affidamenti in house siano soggetti al rito ‘appalti’. Depone in questo senso la comunanza ai contratti così stipulati delle esigenze sottese a questo speciale procedimento giurisdizionale, e cioè la spiccata celerità e la pienezza di tutela assicurata dai provvedimenti adottabili ai sensi degli artt. 120 – 124 del codice del processo amministrativo. Tra questi vi è in particolare la possibilità per il giudice di dichiarare l’inefficacia del contratto stipulato sulla base del provvedimento autoritativo di affidamento e dunque di incidere sul rapporto negoziale già instaurato ‘a valle’ di quest’ultimo. Da questa ampiezza di poteri e dalle conseguenti ricadute su assetti contrattuali già instauratisi si coglie pertanto la necessità sul piano logico e di complessiva coerenza normativa di assoggettare anche gli affidamenti in house al rito concernente in generale i contratti di lavori, servizi e forniture. In caso contrario, rimarrebbero immuni dal rischio di declaratoria giurisdizionale di inefficacia proprio gli affidamenti connotati maxime dalla violazione del principio generale, di matrice anche europea, dell’evidenza pubblica…”.
Quest’ultima decisione – che supera una distinzione fra affidamenti “interni” ed “esterni” e si orienta in senso più garantista rispetto all’intera “evidenza pubblica” – appare più adeguata per tutelare qualsiasi operatore rispetto ad assetti contrattuali già instauratisi che, paradossalmente, nei contratti “in house” sono anche di più lunga durata ed anche maggiormente soggetti a delicate interferenze con gli interessi pubblici e ciò anche a prescindere da qualsiasi inquadramento degli affidamenti “in house” nell’ambito del “vecchio” o del “nuovo” Codice dei Contratti Pubblici (oltre che nelle specifiche normative di settore).
Si è infatti del fondato avviso che un contratto che si ponga a valle di un affidamento in esito ad una procedura ad evidenza pubblica (e si noti che potrebbe essere anche un contratto “attivo” già disciplinato dalla Contabilità di Stato ed oggi invece preso in esame dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. 50/2016 oppure un altro contratto “escluso” oppure ancora un contratto dei “settori speciali” “non strumentale” a quei fini e rispetto al quale non dovesse avere giurisdizione il Giudice Ordinario) oppure anche un contratto stipulato senza indizione di una procedura di affidamento o comunque di una procedura selettiva secondo le previsioni dell’evidenza pubblica dovrebbe essere oggetto di esame da parte del Giudice Amministrativo, in quanto solo quest’ultimo è in grado di apprezzare le interrelazioni (ivi compresi anche i dati fattuali) fra i diversi interessi pubblici e privati, come anche desunti da una conoscenza avvenuta nel corso del processo sia direttamente che attraverso gli atti processuali: circostanze queste che verrebbero difficilmente a conoscenza di un Giudice che non abbia preso in esame ed approfondito il procedimento a monte e tutte le implicazioni dello stesso. Si tratta infatti di un Giudice che – si potrebbe dire “naturalmente” – appare deputato a trattare i diritti soggettivi propri della fase esecutiva dell’appalto ma che certamente non ha una conoscenza nemmeno lata dei profili correlati agli interessi legittimi propri della fase di gara, rispetto ai quali il contratto si trova in una via “mediana”.
Si tratta, insomma, di una fase della medesima vicenda di affidamento che rientra concettualmente in quel “vuoto di tutela” cui fa rinvio la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 204/2004 e che caratterizza la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
Da ultimo va rimarcato anche un profilo – non certo secondario e, anzi, forse determinante nell’ottica di una effettiva tutela – correlato alla tempestività di intervento del Giudice, in quanto quello Amministrativo interverrebbe immediatamente anche in un rapporto “in house” oppure in qualsiasi ipotesi di procedure ad “evidenza pubblica” che confluiscano in un affidamento, mentre quello Ordinario interverrebbe sempre dopo un lungo lasso di tempo nel corso del quale, pur a fronte dell’accertamento di una illegittimità (e poca rilevanza avendo la tipologia di affidamento, “interna” o “esterna”), si perpetuerebbe un affidamento ad un soggetto non più legittimato, il che potrebbe avvenire anche per anni.
In sostanza, si ritiene debba essere svolta un’attenta ponderazione rispetto alle difficoltà di operare, nel giudizio ordinario, con strumenti che consentano una tutela celere ed effettiva e si è dell’avviso che nemmeno procedimenti di urgenza ex art. 700 e ss., c.p.c. siano idonei. Laddove si dovesse attendere l’intero giudizio di primo grado – e verosimilmente almeno l’avvio di quello di secondo grado in cui potrebbe essere strumentalmente chiesta la sospensione della sentenza di primo grado – per ottenere una dichiarazione di inefficacia del contratto, oltre al dato negativo discendente dallo scollegamento con il procedimento a monte dello stesso si avrebbe un lasso temporale inammissibilmente molto lungo ed in molti casi inaccettabile in certi delicati rapporti in house.
Anche questi profili sembrano rendere preferibile un indirizzo indirizzato nel senso di non operare distinzioni fra diverse modalità di affidamento: si genererebbe, tra l’altro, una pericolosa disparità di tutela e forse si inciderebbe anche in termini di violazione del principio di uguaglianza soprattutto in casi come l’“in house” in cui talvolta l’esigenza di intervenire immediatamente su un rapporto viziato è ancora più impellente per tutelare gli interessi pubblici e non solo quelli privati.
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